LA BANDA DEI BROCCHI

Come vi ho preannunciato qualche articolo fa, sono qui per recensirvi la lettura del mese “la banda dei brocchi”, un romanzo del 2001 di Jonathan Coe. Di solito mi “cibo” di classici, pertanto, quando mi ritrovo di fronte una lettura piuttosto recente parto sempre col pregiudizio che non si tratti di un’opera di spessore. Non c’è nulla di più bello , però, che doversi ricredere, fare i conti con i propri preconcetti e allargare le prospettive ad orizzonti più ampi.

A mio modesto parere, ci troviamo di fronte ad un romanzo che assurge al rango di “storico” e che non ha nulla da invidiare a “Memorie di Adriano” della Yourcenar o all’ “Ivanhoe” di sir Walter Scott, quantunque a fare da sfondo ci siano un contesto e un’ambientazione meno epici: la Birmingham degli anni ’70. Un periodo piuttosto “caldo” della storia inglese contraddistinto dal diffondersi delle lotte sindacali,dagli attentati dell’IRA nei pub inglesi, dall’ascesa della Thatcher dopo anni di governi laburisti, dall’avvento della musica punk. Eventi fedelmente e meravigliosamente raccontati da Coe tanto che, sfido chiunque abbia la fortuna di leggere il romanzo, a non voler prenotare un biglietto solo andata sulla macchina del tempo, destinazione Birmingham, anno 1973.

I protagonisti della vicenda sono alcuni studenti del prestigioso liceo privato “King William” che, inevitabilmente, si formeranno e saranno segnati dalle vicissitudini del loro tempo. Si tratta di ragazzi appartenenti a diverse classi sociali le cui vicende personali non sono che il riflesso di un’epoca di transizione nonché lo spunto per numerose riflessioni che di “nostalgico” hanno ben poco, perché sono “sempreverdi”nella storia dell’uomo e, pertanto, meravigliosamente attuali. Non voglio svelarvi molto, ma spero di insinuare in voi, miei pochi e cari lettori, la curiosità di leggerlo, non ve ne pentirete, ne sono certa.

Ad un certo punto, verso la fine del libro, c’è una triste presa d’atto di Benjamin, uno dei protagonisti:

“… ma io mi resi conto solo allora che la famiglia di Steve era di gran lunga la più povera fra quelle dei miei amici, mi imbarazzava ,e mi imbarazza il fatto di avere la mia macchina parcheggiata fuori,, una Mini che aveva soltanto due anni, e che in pratica i miei genitori mi avevano regalato, anche se pagavo loro una quota simbolica del mio stipendio ogni settimana, e mentre andavamo a piedi verso Handsworth Park mi vergognavo perché la vita a me dava tutto così facilmente, il lavoro in banca e l’ammissione all’università e tutto il resto, mentre Steve sembrava non avesse quasi niente, al momento, e soltanto un anno fa invece pareva che fossimo tutti nella stessa barca”

e, ancora,

“io sento che abbiamo perduto Steve, sacrificato a qualcosa, come dire?alla storia, alla politica, alle circostanze?è una sensazione orribile, a dire il vero, la sensazione che il nostro tempo insieme a scuola era stato una specie di brillante errore, contrario all’ordine normale delle cose, e adesso tutto era tornato a posto, a come doveva essere, Steve era stato rimesso al posto che gli spettava”

Che sa tanto di amara rassegnazione, la stessa rassegnazione che prova Bill Anderton, il padre sindacalista di Doug dinnanzi alla politica taglia teste del nuovo dirigente aziendale, la stessa amara rassegnazione del sogno proletario sconfitto e sopraffatto dalla storia. Il romanzo è incompiuto o, meglio, ne esiste un seguito “the closed circle” che spero vivamente qualcuno mi regali.
E per oggi è tutto, baci e alla prossima…